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I minibond sono titoli di debito emessi da piccole e medie imprese e sottoscritti da investitori professionali e qualificati. La normativa in materia non fa riferimento specifico al termine minibond, ma questa è l’espressione ormai ampiamente più utilizzata da giornalisti, esperti, osservatori e giuristi per indicare questi strumenti. L’emissione di obbligazioni è storicamente nota alle imprese quotate a Piazza Affari, ma la crisi del 2008, la restrizione del credito bancario e l’opportunità di fornire alle PMI italiane canali alternativi di finanziamento hanno spinto il legislatore italiano ad allargare la platea dei possibili emittenti di titoli di debito alle società minori.
L’anno di svolta è stato il 2012 e il Decreto Sviluppo che ha tolto alle società non quotate il vincolo di emissioni obbligazionarie non eccedenti il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato. Tale vincolo, che già non esisteva per le società quotate, in pratica bloccava la possibilità per le PMI di impiegare il collocamento di obbligazioni come leva per i piani di sviluppo e di investimento. Successivamente il legislatore a più riprese è tornato sull’argomento, incentivando ulteriormente l’utilizzo di questo strumento di accesso al credito.
Quali società possono emettere minibond e cosa devono fare
I minibond posso essere emessi da Società per azioni (S.p.A.), Società a responsabilità limitata (S.r.l.) e da Società Coperative e mutue assicuratrici.
In termini dimensionali possono emettere minibond sia le piccole imprese (meno di 50 dipendenti e stato patrimoniale o fatturato annuo inferiore ai 10 milioni di euro) che le medie imprese (meno di 250 dipendenti e fatturato annuo sotto i 50 milioni di euro o attivo dello stato patrimoniale inferiore ai 43 milioni di euro).
Non possono emettere invece minibond le società bancarie, le SIM o le SGR e comunque le società che fanno parte di un gruppo bancario soggetto alla vigilanza di Banca d’Italia o le microimprese (meno di 10 dipendenti e fatturato annuo o bilancio sotto i 2 milioni di euro.
Sempre in tema di minibond va segnalato che I due ultimi bilanci devono essere stati pubblicati e l’ultimo deve essere stato certificato da una società di revisione per l’ammissione all’ExtraMOT (art. 220.5 del Regolamento di ExtraMOT). Il Decreto Sviluppo prevede invece per gli emittenti dei mini-
Va segnalato che nel caso delle S.r.l. è necessario che lo statuto preveda la possibilità di emissione di titoli di debito e quindi indichi l’organo deputato a deliberare in materia e le maggioranze necessarie. Anche senza previsioni specifiche statutarie le S.p.A. possono invece emettere minibond su decisione dell’organo amministrativo.
Le società che vogliono emettere e quotare un minibond su ExtraMOT (un mercato che ospita anche, ma non solo i minibond) devono istituire un “Libro delle Obbligazioni” (le S.p.A.) ovvero un “Registro dell’Emittente” (le S.r.l.) che deve comprendere:
l’ammontare dei minibond emesis;
il nominativo dei portatori dei minibond (per i titoli nominativi);
trasferimenti e vincoli.
L’Emittente di minibond deve anche redigere il "Regolamento del Prestito", esplicitamrente richiesto dal mercato ExtraMOT, che include i termini e le condizioni dello stesso, quindi informazioni come la natura, la forma, l’importo, il valore nominale dei titoli di debito emesso e le modalità e caratteristiche del pagamento degli interessi e del rimborso del capitale, oltre ai diritti dei portatori associati ai doveri dell’emittente.
Tassazione PMI: i vantaggi fiscali
I consistenti vantaggi fiscali collegati all’emissione di minibond sono tra i principali motivi per cui una PMI può decidere di ricorrere a questa forma di finanziamento (tenuto conto degli oneri anche regolamentari di cui sopra che comporta).
Per gli emittenti
In particolare gli emittenti possono dedurre gli interessi passivi collegati al finanziamento (ossia pagati ai sottoscrittori del minibond) nel limite del 30% del proprio risultato operativo lordo (Art. 96 TUIR) nel caso in cui i minibond siano quotati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione europei o in “white list” (che scambiano informazioni fiscali con l’Italia) oppure nel caso in cui siano detenuti da investitori professionali che non controllino direttamente o indirettamente (escluse anche fiduciarie e interposta persona) più del 2% del capitale o del patrimonio dell’emittente.
Il Decreto Sviluppo ha inoltre previsto che tutte le spese di emissione (per esempio i compensi per consulenze, società di rating o arranger oltre alle listing fee) siano deducibili indipendentemente dal criterio di imputazione a bilancio.
Altra importante novità è giunta invece con il Decreto Destinazione Italia che ha previsto l’applicabilità anche a questi tipi di finanziamenti mediante emissione di bond dell’imposta sostitutiva dello 0,25%, prima riservata alle banche. In pratica si tratta di un’imposta che appunto sostituisce quelle di bollo, di registro, ipocatastali e la tassa sulle concessioni governative. L’imposta è prevista per i finanziamenti garantiti da terzi o da ipoteche e nel caso dei bond può trovare applicazione quando sia presente una qualunque garanzia collegata all’emissione, una eventuale surroga, una cessione di credito, un trasferimento di garanzia in caso di vendita dell’obbligazione o atti che modifichino o estinguano operazioni di questo tipo. Naturalmente questo deve essere previsto nella delibera di emissione del bond, l’imposta viene comunque applicata dalla banca incaricata del collocamento. Si tratta di un incentivo che alleggerisce il costo di fornire una ulteriore garanzia a tutela dell’emissione di un minibond capace, ovviamente di renderlo più appetibile.
Per i sottoscrittori
Sempre nell’intento di un incentivo all’impiego di queste forme alternative di finanziamento delle imprese sono previsti vantaggi anche per i sottoscrittori degli stessi minibond.
In particolare con il Decreto Crescita e il Decreto Competitività per i minibond quotati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione di Paesi UE o in “white list”e per quelli non quotati ma detenuti da investitori qualificati prevede l’esenzione del regime di ritenuta d’acconto del 26% alla fonte su interessi e altri proventi. Si tratta di un vantaggio non da poco per fondi pensione, banche e compagnia assicurative.
Queste ultime possono investire fino al 3% delle riserve tecniche in minibond o in quote di fondi specializzati.
L’investimento in minibond è stato inoltre aperto nel tempo agli Special Purpose Vehicle (SPV), ossia le società veicolo specializzate nelle cartolarizzazioni che dunque possono coinvolgere anche questi titoli di debito.
Anche i covered bond bancari possono essere garantiti da minibond.
E’ stato infine previsto che banche, intermediari finanziari e gestori, a fronte di singole operazioni di sottoscrizioni di minibond o su portafogli di minibond, possano chiedere al Fondo Centrale di garanzia delle garanzie, appunto, fino al 50% del valore nominale del minibond sottoscritto (se sia prevista per le stesse un rimborso a rate basato su un piano di ammortamento) o fino al 30% nel caso di minibond bullet (ossia con rimborso unico a scadenza).
Quel che chiede il mercato
Chiaramente per attrarre gli investitori professionali e convincerli a investire nel debito di una PMI non quotata servono diversi requisiti non strettamente regolamentari. In genere fra questi si annoverano un fatturato di almeno 5 milioni di euro in crescita negli ultimi 3 anni almeno, un management competente e affidabile, un ebitda che raggiunga almeno il 10% del fatturato, un rapporto PFN/Ebitda sotto 4x e possibilmente un rating pubblico (con merito di credito a investment grade) emesso da un’agenzia.